I poteri del giudice nell'ambito della mediazione delegata

Autore: Avv. Edith Peruzzi Amarugi

 

 

 

All’interno del vasto panorama delle A.D.R. (Alternative Dispute Resolution, altrimenti dette metodi alternativi di risoluzione delle controversie), la mediazione ricopre, sin dalla sua introduzione avvenuta con il d.lgs. del 04/03/2010, n. 28, un ruolo prevalente in termini di effettività nella gestione e risoluzione del contenzioso in ambito civile e commerciale.

Difatti, ad essa può (e, in alcuni casi, deve) ricorrere non soltanto la parte privata interessata al raggiungimento di un accordo inter partes che possa sostituire una pronuncia giudiziale, ma anche lo stesso giudicante, laddove, “valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti”, ritenga utile disporre l’esperimento del procedimento di mediazione.

Si tratta della c.d. mediazione delegata, che costituisce un caso ulteriore di mediazione obbligatoria al pari di quelli elencati ratione materiae al co. 1 dell’art. 5, d.lgs. 28/2010, nel senso che, in questo caso, l’art. 5, co. 2, d.lgs. 28/2010 stabilisce espressamente che l’esperimento del procedimento di mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, sia che la decisione del giudice intervenga durante un procedimento pendente in primo grado, sia in sede di appello.

Pertanto, la mediazione, qualora disposta ex officio, diventa obbligatoria a prescindere dalla materia oggetto del contendere e, per l’effetto, può ricadere anche su di una controversia avente ad oggetto, fra gli altri, il recupero di un credito rimasto insoddisfatto oppure una questione in ambito familiare e di diritto minorile.

 Proprio in tema di mediazione delegata, di recente la Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 40035 del 14/12/2021) ha avuto occasione di precisare che, ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità, ciò che rileva è l’utile esperimento, entro l’udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione e non già l’avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l’ordinanza che dispone la mediazione.

 Altra questione controversa riguarda poi i limiti di operatività dell’ordinanza con la quale il giudice delega le parti in mediazione, al fine di delimitare, in particolare, l’estensione dei poteri del giudice all’interno di una procedura strettamente connessa ai comportamenti ed alle iniziative private.

Con un’ordinanza “decalogo” ormai risalente il Tribunale di Milano (Tribunale di Milano, sez. IX Civile, ordinanza 29 ottobre 2013 – Giudice estensore dott. Giuseppe Buffone) ha fornito interessanti linee guida che meritano di essere brevemente illustrate per il rilievo che le stesse rivestono anzitutto, i giudici milanesi sottolineano come i mediatori incaricati della mediazione delegata ben potrebbero estendere la trattativa (rectius: mediazione) anche a fatti e circostanze emersi successivamente all’instaurazione della lite e non fatti valere nel processo, così evidenziando che l’eventuale soluzione conciliativa sarebbe in grado di definire il conflitto nel suo complesso, mentre la sentenza conclusiva di un procedimento civile andrebbe a costituire solamente la definizione tout court di una singola e specifica lite o di un suo particolare aspetto e dunque finirebbe per trattarsi di una soluzione meramente parziale.

Inoltre, il Tribunale ricorda che anche per le mediazioni attivate su disposizione del giudice, è vincolante la previsione di cui all’art. 4, comma 1, d.lgs. 28/2010: la domanda di mediazione, pertanto, anche se ove si tratti di mediazione delegata, va presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia  – difatti, la domanda di mediazione presentata unilateralmente dinanzi all’organismo che non ha competenza territoriale non produce effetti – e l’onere di attivazione grava sulla parte attrice/ricorrente/appellante.

 Tuttavia, relativamente alla questione della competenza territoriale, l’ordinanza in esame fornisce una chiara indicazione nel senso di rimettere alla scelta – concorde – delle parti la possibilità di porvi deroga, rivolgendosi, con domanda congiunta, ad altro organismo individuato di comune accordo.

A questo proposito, merita altresì segnalare che l’onere posto a carico dell’attore/ricorrente/appellante di attivarsi per introdurre il procedimento di mediazione non esclude che la domanda possa essere presentata anche dall’appellato/convenuto/resistente; in quest’ultimo caso, l’art. 4, comma 1, d.lgs. 28/2010 statuisce che, a fronte eventualmente di più domande di mediazione, l’intera procedura dovrà svolgersi dinanzi all’unico organismo adito per primo, purché territorialmente competente.

Si conclude segnalando che la questione circa la necessità di una maggiore incisività da parte del giudice nell’imporre alle parti di esperire effettivamente i tentativi di mediazione è stato posto di recente all’attenzione del Tribunale di Cassino, il quale, con un’ordinanza del 16/12/2021 ha posto in rilievo alcuni aspetti cruciali della mediazione delegata. Non soltanto viene ribadito l’obbligo per le parti di partecipare personalmente all’incontro, ad eccezione del caso di un legittimo impedimento, ma soprattutto, nel provvedimento de quo, il giudice espande i poteri e le facoltà del mediatore, autorizzandolo esplicitamente a fare proposte anche in caso di mancata presenza di una delle parti, e dunque anche nel caso in cui una sola parte lo richieda, oltre a riconoscere al mediatore la facoltà di verbalizzare le proposte che provengano dalle medesime parti in lite.